Breve autobiografia scritta da Francesco Grisi:
Allora, i miei genitori sono calabresi. Sono morti da due anni e riposano in un cimitero di campagna. Vivo a Roma da oltre trent’anni. Ho esercitato molti mestieri. Sono stato anche docente
al Liceo e all’Università. Con la nave ho girato mezzo mondo. Ho scritto una dozzina di libri. Alcuni ancora mi convincono. Forse sono un mio lungo diario. Desidero citare tra gli ultimi: La
penna e la clessidra, Lettere a Fedor, La chiave d’argento, Leggende e racconti popolari della Calabria, I crepuscolari, I futuristi, e A futura memoria, un romanzo finalista al premio
Strega. Sono anche una testimonianza di un intellettuale e delle sue «evasioni». L’ultimo si intitola: Maria e il Vecchio.
Sono giunto a sessantaquattro anni e ancora non ho nostalgie. Sono quello che sono. La buona salute è importante. Con decreto dell’otto marzo 1965, firmato da Saragat e controfirmato da Moro,
mi sono trovato nell’albo dei Cavalieri della Repubblica.
Credo in Dio perché ho bisogno di perfezione. Senza ironia. Mi auguro di non giudicare mai. Ma non posso fare a meno di disprezzare i conformisti. Li considero incurabili. Hanno un male
oscuro. Sono in tutti gli schieramenti. A sinistra e a destra. Tra i laici e i cattolici. C’erano al tempo del fascismo e ci sono oggi. Rifletto sull’amicizia. Conta più dell’amore. Forse.
Penso alla morte come a una nuova stagione. Chi muore continua a vivere. Qualche cosa mi dimentico del mio passato. Resto nel silenzio del presente.
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