Uno di quei rami

di Silvio Ramat

Anno 2008

Pagg. 48

Cm 12x15

ISBN 9788888852928

Giorgio Segato ha scritto di Silvio Ramat:

È fiorentino e a Firenze ha studiato, ma dal 1976 vive e insegna letteratura italiana contemporanea a Padova. Al tempo di Padova appartengono le sue più importanti pubblicazioni poetiche, nelle quali non di rado emergono riferimenti, atmosfere, ambientazioni proprie e luoghi tipici della città, quella storica e monumentale e quella dell’esperienza quotidiana, dei normali incontri. Non c’è dubbio che il luogo e il Veneto in genere abbiano dato molto alla sua sensibilità linguistica e visiva, altamente prensile e chiaramente votata, in una sonorità toscana, al verso, alla misura e al ritmo poetici, non per abbandoni lirici però, bensì controllata, composta (mantenendo qualche ermetismo giustificato dai tempi del suo processo formativo e da una sorta di “basso continuo” come velo ironico) più che ispirata, e raffinata, costantemente limata nei ‘sensi’ (come significati, suoni, percorsi, modi, direzioni). Ma egli ha anche dato molto a Padova, come docente all’ateneo (laureando molti studenti con tesi non di rado pertinenti ad autori o a momenti storici veneti) e come scrittore, come lettore e saggista critico di poesia e, per alcuni anni, anche come attento organizzatore di eventi poetici: “Padova incontra la poesia” nella prestigiosa sala Rossini dello storico Caffè Pedrocchi, originali appuntamenti ogni volta con due autori, promuovendo confronti generazionali, di stile, di “sesso”, di contenuti, di forma di ‘scrittura’, e di ‘uso’ e ‘consumo’ della poesia come comunicazione, ricerca, espressione, auto-terapia anche, richiamando sempre un folto e scelto pubblico di appassionati. Autentici aggiornamenti ed arricchimenti, con il successo dell’iniziativa chiaramente sottolineato dall’accendersi del dibattito tra pubblico e poeti dopo gli interventi e le letture di rito. Insomma ha saputo essere personaggio della città, professore accademico capace di inserirsi nelle complesse (complicate e difficili) trame dell’ordito culttirale ed umano di Padova, della società civile, si usa dire tanto spesso oggi, come distinta dalla cittadella dell’università; in fondo, uomo timido e severo, ma disponibile, ‘alla mano’, senza arroganti ritrosie, poeta che sa tradurre nella musica dei versi il racconto della propria esperienza esistenziale, quel che vede dalla finestra di casa verso il convento-scuola delle Dimesse, o dallo studiolo di Palazzo Maldura (italianistica), i luoghi che visita (i famosi portici che entusiasmavano il fragile eppure ‘maestoso’ Diego Valeri, il teatro delle statue recitanti del Prato della Valle, le lapidi solo parzialmente decifrabili e le alte magnolie dei chiostri della Basilica del Santo, i minimi lacerti degli affreschi di Mantegna, i tanti orti, il cimitero ebraico di via Campagnola, il fiume Bacchiglione con i cigni: scorci visivi colti vivendo la città, ascoltandone le voci, mai per descrivere i pur numerosi e straordinari monumenti.

E questa bella silloge poetica che Silvio Ramat ha avuto la cortesia di selezionare personalmente, raccogliere e donare alla collana ‘L’Oro dei Suoni’ in occasione del riconoscimento ottenuto a Nantopoesia nel 2008 (L’ulivo d’oro, spilla in oro con due pietre preziose verdi), ha per soggetto tanti luoghi amati nel suo girovagare e nel suo abitare: non rivisitazioni impressionistiche, quasi semplici citazioni, ma precise , incisive nell’elaborazione formale dei testi, sempre organizzati con sapienza strutturale e ritmica, ricchezza tematica, con ‘orecchio particolare ’ — se così si può dire — riservato a Padova, e con la densità problematica tipica del suo sentire, vivere, comunicare la poesia come evento, fraseggio che continua un itinerario ideativo e riflessivo, in certo senso ‘plastico’ e organico. E un aspetto che risulta evidente dal volume Tutte le poesie, 1958 — 2005 (Interlinea 2006). Emerge un percorso ricco di modulazioni e di modellazioni della parola,
del verso libero con parecchi endecasillabi, dei ‘contenuti’ di semplice ‘registrazione’, molto spesso tenuti in filo dal ‘sentimento’ del luogo e da costanti quesiti interiori non esplicitati, prima ancora e molto di più che dal variare di stagioni e di luci (... una musica che esiste, un filo // che qui non può farti più orrore, // cerca te, la tua confidenza,...). E la scelta fatta per questo volumetto, sedicesimo della collana L’Oro dei Suoni, sembra tenere conto proprio dei luoghi padovani amati, abitati e vissuti o veduti e abbracciati con sguardo fermo, abilitato a introiettare la forma del luogo come forma del sentire, del ‘comprendere’ e del comporre (anche in senso musicale). Così il discorso poetico di Silvio Ramat si allarga e si distende in una sorta di diario padovano, dalla seconda metà degli anni Settanta al 2008, sempre più confidenziale - dopo le prime non sempre soddisfacenti esplorazioni e scoperte - e di racconto spazio-temporale dovizioso di rinvii, di recuperi, di spunti esplicitamente allusivi a componimenti di trascorse fasi di lavoro. Si tratta di una raccolta attraversata da una moderata tensione vitalistica come consapevolezza dell’ ‘esserci’ e del partecipare alle dinamiche esistenziali luoghi, persone, gioie, dolori, ansie, incertezze, figure della memoria); da un’esigenza di racconto come ordine ed esplorazione dei significati; e l’equilibrio, l’armonia tra le due dimensioni contrapposte s’impone come conquista emotiva di stabilità e di convincimento, quasi mai puramente stilistico-formale (esercizio di estraniazione dalle emozioni dello slancio vitale), ma di preziosa, appassionata ricerca e di conseguimento della giusta quantità e di armonizzazione, di misura, appunto, per ... essere uno di quei rami da niente/dei quali una tempesta fa poesia...

Uno di quei rami

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